martedì 18 dicembre 2007

Natale...

Questo blog viene sospeso... non so per quanto tempo...
Auguro a tutti buone Feste con un video che per me rappresenta molto.


mercoledì 12 dicembre 2007

Prendete e mangiatene tutti

E’ come se d’improvviso avvertissimo un sentimento oscuro di spaesamento, di smarrimento dei nostri punti cardinali, di perdita del peso specifico dei nostri alfabeti, di esodo dagli universi simbolici della nostra vita. E’ come se i nostri pensieri e il nostro fare abitassero sul ciglio di un crepaccio, dentro una frattura del senso delle cose, dentro uno smottamento in cui si schianta tutto lo spazio che abbiamo attraversato e in cui muore tutto il tempo, il tempo sociale, il tempo politico, che ha scandito le nostre storie. Vedevamo il futuro illuminato da una idea, da un sole, da una volontà corale. Oggi vediamo il presente illuminato da tanti roghi in cui bruciano le cose materiali e le cose simboliche: bruciano i nostri boschi insieme alla idea-chiave dei beni comuni e dell’interesse generale; brucia nella sua roulotte un bimbo rom e insieme a lui s’incenerisce una soglia della nostra civiltà e persino un ancestrale sentimento di pietà; brucia la carne giovane del nuovo proletariato della fabbrica planetaria e insieme brucia tutta una storia della coscienza operaia, tutto un mondo del lavoro che aveva, nel corso dell’intero novecento, guadagnato la sua trama di significato sociale, la sua rete di dignità e di diritto.
Ciascuno di questi roghi ha il potere di rivelare il vuoto della politica che si è barricata nel talk-show, la crisi di una discussione pubblica che si trascina stancamente in forma di guerra civile simulata, la perdita di autorevolezza di una sfera politico-istituzionale che appare una replica dell’isola dei famosi. Mentre fuori dalla politica, la società appare come certe spiagge quando c’è la bassa marea: con la battigia sporca di detriti, plastiche e alghe rinsecchite. Se togliamo l’audio al grande blob quotidiano sulla crisi di governo che appare e scompare come una lucina intermittente, sentiamo la voce degli esperti di banalità che danza sulla psiche dei nostri vicini-modello che hanno appena seviziato e straziato la vita di qualcuno, mentre il modello di padre e fratello e figlio perpetua il genio maschile della vitalistica onnipotenza dello stupro, mentre qualcuno dei nostri ragazzini videoregistra, col suo cellulare, un coetaneo che si toglie la vita.
Eccoci qua. Sepolta senza elaborazione del lutto e senza rito funebre l’ideologia della speranza, avanza l’ideologia del tubo digerente, del consumo mordi e fuggi, dell’epica del mio ombelico. Sepolti, con una certa furia iconoclasta, i partiti di massa della democrazia novecentesca, avanzano i partiti di cassa organizzati tra le viscere della cronaca nera e l’apologia della televendita. E in questa post-modernità in cui domina la materia e il feticcio della merce, in cui i poteri si concentrano sempre più nello spazio trascendente del mercato mondiale, in cui la vita e la morte diventano accidenti fenomenici della biologia, cosa volete che sia la politica? Un frammento di casta, in un universo di frammenti e di poltiglia, di corporazioni e di lobbies e di residui solidi urbani.

C’è davvero una frattura multipla che racconta i perché del nostro perderci e anche delle nostre perdizioni. Frattura nella condizione di lavoro, appunto: cioè cesura tra il lavoratore e la sua condizione, solitudine tipica del suo contratto atipico, esternalizzazione della sua storia produttiva rispetto a qualunque codice della cittadinanza, precarietà come destino e come identità, il prestatore di braccia e di cervello a un ciclo economico che non intende più assumerlo come un interlocutore sociale ma come un ingrediente meccanico, o al massimo come solitaria risorsa umana o materiale rotabile, rottamabile, magari infiammabile. Del Welfare è questo il nuovo protocollo che non si può accettare: l’espulsione del lavoro dalla terra del diritto sociale e la sua regressione nella palude esistenziale della precarietà. E questo che oggi uccide, uccide metaforicamente quando ti toglie il senso delle cose, e ti uccide letteralmente, ogni giorno, quattro volte al giorno: una orribile morte proletaria che certo fa meno audience dei delitti di provincia consumati tra la noia adolescenziale e la paranoia televisiva.
C’è la frattura nella condizione del vivere urbano, in quella feroce distanza tra il lunapark del centro e l’inferno della periferia, in quella tracimazione del cemento che, alleando rendita fondiaria e speculazione edilizia, immaginò la crescita ipertrofica di città senza comunità, di luoghi senza qualità, di corpi edilizi incontinenti per corpi individuali spezzati e incomunicanti. E la periferia è diventata tutt’altro che un mondo residuale, ma la grammatica generale del vivere associato, anzi del vivere dissociato, il plastico urbano dell’ideologia totalitaria della precarietà. C’è la frattura nella condizione della famiglia, disarticolata per fasce generazionali, con la fine della coabitazione delle tre generazioni che non mescolano più i loro saperi e le loro esperienze, con gli anziani esternalizzati in luoghi specializzati, gli adulti intenti sulle proprie carriere, l’infanzia affidata all’agenzia educativa del grande fratello o delle piccole chat.

In questa geografia dei nostri territori polverizzati e caotici, in questa antropologia orfana di polis e quindi disperatamente estranea alla politica, c’è un bisogno vitale, direi viscerale, di tornare a porci le domande giuste. Non le risposte giuste, quelle in cui ognuno diventa geloso della propria nostalgia e si presenta come il custode fallimentare della propria identità e della propria bandiera. Le domande giuste. Quelle sui poteri che ergono barriere architettoniche e sociali e culturali per dividere, per separare il genere umano, per dare nevrotiche appartenenze nei recinti angusti del proprio villaggio o della propria tribù o del proprio alfabeto. La precarietà e la nevrosi della sicurezza sono gli ingredienti decisivi dell’egemonia culturale della destra, e cioè del berlusconismo che trascende gli schieramenti politici e diviene lo spirito dei tempi: che celebre la religione della competitività e la liturgia della flessibilità; che è garantista con chi è garantito e giustizialista con chi è già stato giustiziato dal tribunale della globalizzazione; che mistifica le parole fino al punto di immaginare la pace economica in termini di guerra infinita; che vuole indurci nella tentazione della violenza affinché ogni idea di cambiamento (la rivoluzione) possa smarrire e mistificare se stessa. E’ una società della paura, in cui l’ordine costituito delle corporation divora ogni ordine democratico e lo riduce a fiction televisiva.
Qui serve il coraggio di una nuova nascita. Non la sapienza di chi mette insieme tante piccole cose antiche. Serve che ciascuno e ciascuna lavori per questo cimento del futuro: un parto, un partire, non so se un partito. Una costituente, non l’equilibrio precario di corpi costituiti. Un soggetto che sappia leggere nel cuore della nostra società, sappia sondarne i fondali melmosi, sappia coglierne il dolore sociale e le domande di senso. Una sinistra che non sia un riassunto, un Bignami di ciò che fummo, ma una casa capace di ospitare quelle domande di libertà che chiedono di rompere la gabbia di tutte le precarietà e di tutte le solitudini socialmente programmate. Certo è doloroso uscire da se stessi, si ha paura di dissipare sentimenti e patrimoni messi assieme con tanti sacrifici. Ma è necessario farlo. C’è un verso di Pasolini che mi pare particolarmente adatto a indicare questa nostra condizione sentimentale e politica; dice così “Piange ciò che muta, anche per farsi migliore”. Appunto, compagni e compagne, è il dolore di un parto ma anche la curiosità e l’allegria di una nuova partenza.

Nichi Vendola (Presidente della Regione Puglia)
Assemblea della Sinistra e dgli Ecologisti
Roma, 9 dicembre 2007

domenica 9 dicembre 2007

La Sinistra, l'Arcobaleno e l'ultima occasione

Ci siamo. A sinistra è partita la costruzione dell'unità.
Sono tante e tutte importanti le cose che vorrei dire e forse lo farò in modo confuso.
Innanzitutto vorrei partire da una sensazione che avverto: l'opinione pubblica, a causa della solita mirata (dis)informazione che ci propagano, sta sottovalutando e non sta cogliendo in pieno quello che accade in una parte politica fondamentale per la democrazia italiana. Come esempio potrei citare il telegiornale più importante che, attraverso un servizio breve, sommario e tutto teso ad evidenziare più i problemi che le novità, con un linguaggio vecchio ed inadeguato, ha presentato questo evento come la solita riunione di partiti, con militanti subalterni a sventolare bandiere e leaders che fanno finta di andare d'accordo per poi litigare in privato: tutto questo è fuorviante oltre che falso.
A Roma è successo qualcosa di più grande, di più bello, di più vivo.
Migliaia di persone in un'assemblea aperta, senza particolari gerarchie, attraverso dei workshop su modello dei social forum, si sono riuniti per discutere di tutti gli aspetti della vita pubblica. Tutti potevano andare lì, parlare, contestare, sollevare dubbi, fare politica. Già solo questa pratica politico-organizzativa è una novità nel panorama italiano.
In questa assemblea quattro partiti, veri, incalzati da associazioni e movimenti, attivi, hanno cominciato un percorso unitario su una piattaforma condivisa di valori. Si sta insoma cercando di rifondare il paradigma della sinistra italiana, da troppo tempo frammentata e alla ricerca di un'identità che gli eventi storici hanno travolto: la caduta del muro di Berlino, la trasformazione del PCI, la scissione, l'involuzione graduale del PDS in un partito di centro...
In quest'ottica è naturale, è fisiologico che ci siano resistenze, timori, contrarietà da parte di qualcuno: sono in gioco anche storie personali, umanità, coscienze...
Ora tutto è in itinere: il simbolo, il nome, la struttura, il leader... nulla è al momento definitivo e tutto verrà deciso attraverso la partecipazione attiva delle persone.
Io credo, ad esempio, che ci sia bisogno di più coraggio e, quindi, di più nettezza, che non significa necessariamente fare le cose in fretta.
In definitiva a Roma è sbocciata una speranza che coltivo dentro di me da sempre.
I leader della sinistra non possono deluderla, pena il decadimento definitivo del sistema italiano e, sul piano personale, la mia totale indifferenza alla cosa pubblica.

giovedì 6 dicembre 2007

Io, 1 anno da blogger

Esattamente 1 anno fa ho deciso di aprire un blog .
Forse non è un caso che questo periodo coincida con l'anno più particolare e complesso della mia vita.
Valuto positivamente l'esperienza di avere questa sorta di diario. Considero i miei post momenti di sfogo, di evasione, di riflessione, di introspezione, che hanno un unico comune denominatore: la condivisione, valore troppo spesso sottovalutato.
Credo che tutto nasca dall'esigenza anche di proiettare in pubblico parte della propria sfera privata. Mostrarsi in qualche modo vivo e presente.
Narcisismo? Presunzione? Non so. Non credo... ma soprattutto non è questo che mi interessa...
Credo invece di essere un uomo fortunato che cerca di testimoniare il proprio tempo e di vivere al meglio la propria epoca, carica di problemi ma piena di risorse, fatta di miserie e progresso tecnologico...
Non voglio essere indifferente e voglio gramscianamente parteggiare. Siamo nel XXI secolo, lo faccio con una tastiera e qualche cavo...
Voglio "sporcarmi le mani", prendere posizione, scegliermi la parte. Non servono maschere e non c'è da temere nulla dall'essere sempre se stessi in maniera trasparente. Mi viene in mente Lindo Ferretti: non temere il proprio tempo è un problema di spazio.
E poi non voglio vivere un'esistenza chiusa e circoscritta solo alla ricerca del tornaconto personale e materiale, come se il mondo fuori non ci interessasse. No... Siamo esseri sociali, calati in una rete di relazioni, sempre più fitte, veloci e transitorie, con cui dobbiamo fare i conti. Ci sono altre idee, altri valori, altre parole, altre emozioni in qualsiasi altra parte del mondo con cui confrontarsi.
Ecco... tutto ciò è il senso del mio primo anno da blogger.
Che poi, forse, un pò, è il senso della mia vita...

PS: Per sottolineare in qualche modo questo anniversario ho inserito gli 11 post che appartenevano alla vecchia piattaforma: si possono trovare con l'etichetta oldblog.

martedì 4 dicembre 2007

Bamboccioni Incazzati

Federico Mello è un blogger molto attivo che ultimamente sta facendosi largo nell'editoria italiana per la pubblicazione di un libro, L'Italia spiegata a mio nonno, nato e diffuso inizialmente solo attraverso la rete e la blogosfera.
Seguo il suo blog da un pò e non sempre sono in sintonia con i suoi post.
Ora, però, ha realizzato un altro piccolo lavoro che mi piace segnalare e diffondere. E' un pamphlet di venti pagine, facile da leggere, scritto con ironia e con cura (scaricabile cliccando sul titolo): Il protocollo sul welfare visto dai bamboccioni (incazzati).
Purtroppo penso che quel protocollo non andasse approvato con quei contenuti e in quel modo.
Politicamente poi è e sarà catastrofico.
I problemi della precarietà giovanile rimangono tutti, dobbiamo continuare a parlarne (a tal proposito segnalo anche il post di SirDrake).

lunedì 3 dicembre 2007

Sinistra, Left, Gauche, Izquierda, Linke

E' giunto il momento di un appuntamento che aspettavo da sempre.
Sabato 8 e domenica 9 si terrà a Roma l'Assemblea Generale della Sinistra e degli Ecologisti.
Inizia ufficialmente il percorso che porterà all'unità delle forze di sinistra.
E' un percorso complicato, forse lungo, ma necessario... storicamente necessario, come ha spiegato Bertinotti.
Su questo altare si deve sacrificare tutto: ogni particolarismo, ogni nostalgia, ogni settarismo.
Io credo ne valga la pena... anche perchè, secondo me, questa è l'ultima occasione utile per ristabilire una connessione forte con il popolo di sinistra che chiede soprattutto lotta alla precarietà, pace, diritti civili, difesa dei beni pubblici e dell'ambiente e che si sente tradito e deluso da questa esperienza governativa.
Occorre una forza coesa, moderna, densa e non liquida, che faccia politica dal basso, nel territorio, su quei temi, e che non faccia del governo a tutti i costi la sua ragion d'essere.
Non so cosa succederà ora... la situazione è difficile, il quadro politico generale italiano è desolante.
Servono scelte chiare, nette, forti, urgenti che però non vedo all'orizzonte.